Malattie psichiatriche. Salvini contro legge Basaglia. Ma che ne sa di psichiatria e delle reali conseguenze della legge 180?
5 Luglio 2018L’INTERVISTA – Una giovane finita con il 118 al Policlinico Umberto I di Roma: “Sono stata all’Inferno e ritornata sulla terra”

il twitt “folle” di Salvini
Malattie psichiatriche. Le reazioni sono state molte, di fronte al cinguettio di Salvini, ormai tuttologo ministro degli Interni e vicepremier, sulla contrarietà alla riforma che, nel 1978, stabilì la chiusura dei manicomi. Francamente, non quante avrei pensato.
Come ho diverse volte sottolineato, il problema più grosso delle patologie della sfera psichiatrica o dei disturbi dell’umore, è il pregiudizio, seguito a ruota dall’ignoranza. Mi venga concesso il termine, in quanto usato alla lettera. La gran parte della gente, soprattutto nella nostra bella Italia, nulla o poco sa di questo tipo di disagi, comprese le persone che ne soffrono e spesso non chiedono aiuto e dunque non si curano, per timore di essere additate come folli, o semplicemente per un assurdo pregiudizio privo di fondamento.
Ora, un episodio raccapricciante, verificatosi nell’ospedale psichiatrico di Caserta, durante il quale un paziente ha ucciso un altro degente, fa riflettere. Ma non certo sul fatto di riaprire i manicomi, come ha fatto Salvini (caso ha voluto che l’omicida fosse africano, ndr), il quale probabilmente non conosce neanche la differenza tra malato psichiatrico e soggetto mentalmente sofferente.
Fa riflettere anche un episodio, meno recente, ma non meno grave: il decesso di un paziente ricoverato in TSO (trattamento sanitario obbligatorio), all’ospedale di Vallo della Lucania, abbandonato a se stesso, fino alla morte.
C’è da riflettere su quanto, in troppi casi, i manicomi, più che chiudere, abbiano cambiato nome e sono quei reparti ospedalieri assai spesso male attrezzati, con personale inadeguato, che, al posto delle camicie di forza e delle catene per legare i malati al letto, adopera sedativi talmente invasivi, che rischiano di lasciare nel paziente conseguenze neurologiche irreversibili, anche a distanza di lungo tempo.
Il ministro Salvini, dunque, o magari, chi si occupa della Salute, dovrebbe fare un passo avanti e non indietro, come proposto dal vicepremier. Tornare ai manicomi sarebbe davvero una…follia!
Bisognerebbe, invece, operare un attento e complicato lavoro di adeguamento dei reparti psichiatrici ospedalieri alle esigenze di pazienti già molto sofferenti: a partire dalle condizioni igienico sanitarie, per finire alla selezione del personale, troppo spesso inesperto, distratto e mi fermo, anche se ci sarebbe da scrivere un intero libro.
L’INTERVISTA – Una giovane finita con il 118 al reparto psichiatrico del
Policlinico Umberto I di Roma: “Sono stata all’Inferno e ritornata sulla terra ferma”
“Soffro da anni di depressione maggiore episodica, sono in cura farmacologica e psicoterapeutica, ma a volte faccio fatica a sopportare un dolore infinito, indescrivibile, che vorrei potesse andar via con una pillola”.
A parlare è Lucrezia. Non ne facciamo il cognome, così come voluto da lei. Trent’anni, Lucrezia soffre da quando ne aveva 15.
Cosa ti ha portato quella sera a bere più del dovuto e ferirti le braccia?
“L’esasperazione. Più questi momenti ritornano, maggiore è il senso di sconfitta”
Sei stata tu a voler chiamare il 118?
“Io non capivo molto e, soprattutto, non mi interessava di cosa sarebbe successo. Se qualcuno avesse potuto aiutarmi, mi sarei sentita sollevata. È stata mia madre, mentre mio padre faceva di tutto per evitarlo. I paramedici erano gentili, le hanno permesso di venire in ambulanza con noi. Si è resa conto di aver commesso un errore madornale nel momento in cui, sulla porta del reparto, quella specie di reparto ospedaliero, è stata bloccata, mentre io venivo condotta in infermeria”
Cosa hai notato d’insolito in quel reparto? Sorride, con le lacrime agli occhi
“Cosa non ho notato, sarebbe forse più esatto chiedere. Intanto le condizioni igieniche, il bagno era peggio di quelli degli autogrill più luridi. Il mattino dopo, poi, hanno aperto quella che chiamavano la ‘sala’: sono stata investita da una puzza di fumo stantio. Cicche nei bicchieri di carta qua e là, sangue su una delle sedie e poi… Poi uomini e donne nello stesso reparto, non mi è sembrato molto normale”
Non lo è. Come sei uscita di lì?
“Sono venuti i miei genitori a garantire per me. Gli psichiatri, su mia pesante insistenza, hanno chiamato il mio specialista, con il quale ero già in contatto telefonico dal mattino presto e mi aveva detto che sarebbe stata un’esperienza devastante per la mia condizione psichica, ma che non riteneva mi avrebbero trattenuta anche quel giorno. Alla fine, ho firmato, contro il parere della struttura e…”
E?
“E sono tornata nel mondo. Ho passato dodici ore all’Inferno. Per quanto si possa tentare di descrivere, non se ne riesce a dare l’idea”
Come va adesso?
“Bene. Il mio psichiatra è molto bravo. Se non fosse per lui, credo che non sarei più su questa terra già da tempo”.
Si asciuga gli occhi ed accenna un sorriso, che mi solleva, giusto un po’…
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