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Danila S. Santagta

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Il Mio Blog

Cancro, guadagnava sul dolore dei pazienti. Medico ai domiciliari. Sia condannato a interdizione perpetua da professione

11 Maggio 2017

Corruzione sui farmaci per il dolore, l’intercettazione: “Io procuro malati e loro mollano il 10%”

Corruzione, l’hanno definita corruzione. Non che non lo sia, o che sia un dignitoso sostantivo accostato ad un medico, la cui vocazione dovrebbe essere quella di guarire i propri pazienti o, nel caso in cui ciò fosse impossibile, alleviarne le pene ed i dolori, accompagnarlo alla morte con il massimo della coscienza.

Così non era  per Guido Fanelli, 62 anni, da pochi giorni ai domiciliari insieme con altri 18 indagati per un’inchiesta del Nas, coordinata dalla Procura di Parma, che ha svelato un’associazione a delinquere.  Considerato un “luminare” della Terapia del dolore, un medico che si definiva “boss” e che definiva i rappresentati delle aziende che lo pagavano “marchettari”. “È così io procuro malati e gente per il dolore … vengono perché ci sei tu e di mezzo ci sono io; mollano il 10% e permetti non è che lo facciamo sempre per loro. Loro guadagnano i soldi e noi un cazzo…”. Così il “ luminare”, che si definiva “boss”, parlava con la moglie di come si faceva corrompere dalla case farmaceutiche. Così, senza alcuna pietà, parlava delle percentuali che prendeva dalle case farmaceutiche per somministrare a chi era in fin di vita le terapie del dolore adeguate.

Già oggi sui giornali non c’è più traccia di questa specie di “mostro” che aveva intrapreso quella che dovrebbe essere una vocazione, la carriera di medico e si era ridotto ad autodefinirsi il “boss”, non a torto, perché chi specula sul dolore altrui, un dolore acuto, insostenibile ed in arginabile, che invade intere case e famiglie, oltre ai diretti interessati, potrebbe definirsi anche peggio di così.

Si tratta di notizie che passano automaticamente in secondo piano, solo perché i diretti interessati, fortunatamente, rappresentano una percentuale irrisoria rispetto alla popolazione globale del Paese. E solo chi ci passa, personalmente o indirettamente, per il fatto di avere un paziente in famiglia, può comprendere.

Questo “luminare” prendeva una percentuale dalle case farmaceutiche, per accompagnare intere famiglie dritte all’inferno. Vedremo, se ci sarà dato sapere, come proseguirà il processo. Certo è che, se il “mostro” non venisse condannato all’interdizione perpetua dalla professione, si parlerebbe altro che di corruzione. Ci troveremmo di fronte ad un caso di mala giustizia non paragonabile ad alcun precedente

Pubblico, di seguito, pochi stralci di un racconto inedito, basato esclusivamente su fatti reali, che ho toccato e vissuto personalmente, perché si possa capire il dolore di intere famiglie di fronte ad un malato terminale che sta per lasciarle, in preda a sofferenze atroci.

 

Se questa è vita

“La cosa più tremenda delle neoplasie non è il tasso di mortalità. L’aspetto davvero atroce sono le sofferenze che esse portano nello stadio terminale”. Me lo aveva detto, il medico che affianco per il tirocinio in cure palliative e terapia del dolore, il dottor Paolo Gentile, mi aveva avvisata, aveva tentato, in qualche modo, di prepararmi. Ma le sofferenze umane sono cosa cui non si è mai preparati fino in fondo.

-Prego dottore, entrate. Vi offriamo qualcosa?

Ci apre la porta una donna intorno ai quaranta anni, graziosa, ben vestita, truccata con cura, i capelli messi perfettamente in una piega ondulata. Ci fa entrare in un grande soggiorno, ben arredato, con vista sulle campagne ed infine sull’azzurro del mare. Attorno ad un grande tavolo di legno chiaro, un’altra donna, anche lei molto gradevole e due bambini, di circa sei e otto anni. Sul divano, sotto la grande finestra, un uomo magrissimo ed abbronzato in modo forzato, sembra colore da lampada, più che di sole. Anche lui è tirato a lucido, come dovesse andare ad una cerimonia: capelli strapieni di gel o Dio solo sa cosa, gemelli ai polsi, anello al mignolo della mano destra, oltre ad una vistosa fede sull’anulare sinistro. Accanto a lui, una donna di dimensioni sproporzionate, sembra sia stata gonfiata da una pompa, più che dalla chemio terapia. Un cappello da cui s’intravede il cranio calvo, un pigiama elegante; ai piedi, calzettoni in tinta, niente altro. Con quel gonfiore non le entrerebbe neanche un quaranta.

-No grazie, niente. Vi presento la dottoressa Laura Schiavi, fa tirocinio per la specializzazione. Signora, allora, come va, come si sente

Silenzio

-Dottore, purtroppo mamma non sente più, quasi niente

Paolo si avvicina, si siede accanto a lei, sul divano, vicino vicino

-Signora, come si sente

-Così dottore – si mette una mano sulla testa – mi fa male la testa

-Tranquilla, signora, ora facciamo passare tutto – poi, rivolto alla donna che ci ha aperto la porta – c’è una cartella clinica

-Sì, certo. Eccola

Paolo la legge con attenzione, mentre con un gesto, mi fa segno di avvicinarmi. Quello che leggo mi dà conferma dell’impressione iniziale. Direi ad occhio che la paziente non supererà il mese. Leggendo, ne ho conferma.

-Beh – dice Paolo – la situazione sembra buona, nel senso che la malattia si è cronicizzata a questo stadio. Signora, tranquilla – dice avvicinandosi di nuovo a lei. Le stringe la mano – Ci accompagnate sotto? – poi, rivolgendosi ai figli, l’uomo lampadato e la donna che ci ha aperto la porta.

Non ho capito niente – penso. Oppure Paolo è impazzito. Non dico una parola, il mio ruolo è quello di osservare ed ascoltare.

Scendiamo le scale e la donna fa per aprire il portone d’ingresso

-Dovrei parlarvi un attimo – dice Paolo

-Certo – dice la donna – usciamo insieme o volete accomodarvi a casa mia, è qui al piano terra

-Forse è meglio, signora

-Prego, certo

Entriamo in un’altra bella casa, arredata con cura e gusto. Sul divano, davanti alla tv, un uomo rubicondo e una bambina sovrappeso, di circa quattro anni.

-Buonasera – dice Paolo – potete lasciarci per qualche minuto per favore

-Certo – dice l’uomo, mentre spegne la televisione – vieni Maria, andiamo di là

Noi sediamo attorno ad un tavolo

-Allora – dice Paolo – cancellate tutto quello che ho detto prima. La situazione è estremamente grave. Mi sono spiegato

-Sì – dice la donna – avevo intuito

-Quanto grave – chiede l’uomo lampadato – quanto le resta

-Questo non lo può dire nessuno. Potrebbe morire stanotte, come reggere sei mesi. Il mio obiettivo è solo farla stare meglio, alleviarle ogni sofferenza. È invasa dal cancro, ce l’ha dappertutto, ma le cure palliative servono a questo, ad alleviare dolori e sintomi di qualunque tipo

-Ho capito – dice l’uomo

Non ha capito affatto. Ha l’aria di chi sta pensando questo è un incompetente, appena va via chiamo un altro medico. Ma questo si vedrà dopo, vedremo come procede il piano terapeutico, a Paolo interessa poco. Lui ha solo bisogno di illustrare la situazione, la verità, la sua etica glielo impone e, per quanto cruda essa sia, lui la mette davanti agli occhi dei familiari dei pazienti, così, nuda e cruda, com’è.

-Come stai – mi chiede Paolo, una volta in auto

-Bene, bene, tranquillo

-Sicura, non è che ti va giù l’umore, non è una cosa facile, questa

-Decisamente non lo è. Posso solo dirti che mi fa venire più voglia di vivere di quanta ne abbia mai avuta

-Davvero – ride

-Sì

-Anche per me è così

Quelle ore, quelle mattine, quei pomeriggi, quel tempo investito per la sua specializzazione, per il suo futuro, scorrevano lisci come l’olio, fra un dramma ed un altro, fra una tragedia familiare ed una sofferenza insopportabile, fra minuti trascorsi in auto a chiacchierare, tempi indefiniti di piacevole vita, resa ancora più viva dalla morte che ci si lasciava alle spalle.

Tutto quell’orrore, già ampiamente studiato, vissuto direttamente su pazienti in carne ed ossa, tutta quella morte sfiorata o toccata, le avevano ridato una voglia di vivere che non avvertiva da tempo immemorabile.

E le ore si accumulavano. Di conseguenza, i giorni ed i mesi. Tutti i santi giorni accanto a quell’uomo, un bravo medico ed attento ascoltatore, oltre che eccellente interlocutore.

-Prego dottore, faccio strada – erano state le uniche parole civili pronunciate da un uomo che aveva tutta l’aria, già per telefono, poi dal vivo, di non avere niente di civile. Erano a Platì, quel giorno. Paese potenzialmente ridente, non fosse per gli abitanti. Solo musi lunghi fino ai piedi, facce losche, occhiali da sole scurissimi e sigari e braccia fuori dalle auto e teste prive di casco alla guida di moto e motorini.

Li fece accomodare in casa. Quattro metri per quattro: corridoio, una camera da letto ed una minuscola cucina, da cui si accedeva probabilmente al bagno, infuocata da un forno a legna, tenuto acceso al solo scopo di riscaldare l’ambiente. Su una poltrona, in un angolo del minuscolo ambiente, sedeva il malato, il padre dell’uomo che aveva tentato, invano, di mostrare un discreto grado di civiltà.

Il malato aveva un’età indefinita, tra i sessanta e i settanta, un cappellino di lana sulla testa, una sciarpa sul collo, fino quasi al labbro inferiore, una fasciatura sulla guancia sinistra, che appariva assai più paffuta della destra.

-Allora come si sente – chiese Paolo

L’uomo iniziò a muovere le labbra ed insieme gli arti e le sopracciglia, ma non si sentiva  alcun sonoro

-Va bene, non si sforzi – disse Paolo, avendo compreso la situazione.

Il figlio ci espose il problema fondamentale. L’uomo era stato operato alla trachea presumibilmente, suo figlio non entrò nel merito ed ora nessuno voleva cambiargli la cannula che gli consentiva di respirare.

Paolo chiese di vedere una cartella clinica. Ero seduta alla destra del malato, la moglie gli tolse la fasciatura per far vedere al medico cosa essa proteggesse. Ed ecco che venne fuori una protuberanza delle dimensioni di una mela, sanguinolenta ed irregolare, che sporgeva in modo impressionante dal profilo.

-Bene – disse Paolo, dopo aver letto con attenzione la cartella – Per la cannula non c’è problema, posso cambiarla io, purché veniate in ospedale.

Il figlio ci accompagnò fuori, fino alla macchina.

-Avete capito come stanno le cose – chiese Paolo

-Credo di sì, dottore

-È molto grave, le metastasi gli hanno invaso tutti gli organi vitali. È per questo che nessun medico si prende la responsabilità di cambiargli la cannula. La cosa potrebbe essere fatale.

-Mi prometti una cosa – gli disse Laura, appena saliti in auto, dopo quella visita

-Dimmi

-Se mi riduco in quelle condizioni, mi fai un’iniezione per farmi morire prima possibile

-Fai la stessa cosa con me

Scoppiarono a ridere … Continua…

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Danila Santagata

Nasce a Catanzaro il 7 giugno del 1972, sul tavolo della casa nella quale trascorre i primi diciotto anni di vita e dove rimangono i suoi ricordi più belli: quelli di un’infanzia felice e spensierata. Continua...

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Danila Santagata Danila S. Santagata Scrittrice e Opinionista

Nasce a Catanzaro il 7 giugno del 1972, sul tavolo della casa nella quale trascorre i primi diciotto anni di vita e dove rimangono i suoi ricordi più belli: quelli di un’infanzia felice e spensierata. Continua

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Danila è una vera combattente, cade si rialza, la spada la impugna quasi senza parere, ma non la lascia mai, ci dorme anche. Con spada e nemici

Luisa Cordova

L’unico difetto dei tuoi libri è che finiscono troppo presto.

Monica Allegrucci

Raramente qualcuno mi ha insegnato qualcosa dai diciotto anni in su. Tu ci sei riuscita. Mi hai insegnato a guardare nel fondo scuro della mia anima, mi hai insegnato il coraggio e la forza, tu, piccolo scricciolo biondo.

Monica Allegrucci

Persona complessa, ironica, tagliente e dolce, vive di picchi e d'emozioni. Attualmente tenta di affrontare la vita con leggerezza come solo chi ha sfiorato l'abisso può permettersi.

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