Suicida con figlia in braccio. Ma nessuno si chiede il vero perché
24 Settembre 2019Ha gettato se stessa, tutto il suo dolore e la sua bimba di 2 anni tra le braccia, dall’ottavo piano di un palazzo, andando giù per la tromba delle scale. La bambina, non si sa grazie a quale miracolo, si è salvata. La donna ha messo fine a quelle che dovevano essere sofferenze atroci.
Il mio stupore nel leggere la notizia è più che altro dovuto a come i quotidiani hanno affrontato la cosa. “Milano, si lancia nel vuoto con la bambina: le avevano tolto altri due figli”, così titola il Corriere della Sera, mentre il Fatto Quotidiano racconta: “Si lancia dall’ottavo piano, temeva di perdere la figlia”. Qualcun altro ha puntato l’attenzione su un messaggio che la quarantatreenne avrebbe lasciato sui social. E via giù su questo andazzo.
Nessuno sembra essersi occupato del tema centrale che questa tragedia nasconde, una tragedia della mente, perché di questo, inequivocabilmente, si tratta. Nessuno si è minimamente interrogato sul fatto se la donna fosse, o meno, in cura per quella che, al di là della motivazioni oggettive, doveva essere una disperazione ormai priva di qualunque speranza.
Qualcuno si è mai domandato quale atroce sofferenza debba esserci stata, necessariamente, dietro il gesto di gettarsi dell’ottavo piano di un palazzo, giù per la tromba delle scale?
Una sofferenza immane e, soprattutto, patologica, che sarà derivata con ogni probabilità da uno stato depressivo lungo e violento. Terrifico, come qualcuno dice in gergo.
Che la donna avesse problemi lo riportano i giornali, come il fatto che facesse uso di cocaina. Nessuno, però, si è fatto domande banali, quanto doverose. Questa donna ha provato a combattere il “mostro”? Se sì, come, dove? Con farmaci o psicoterapia o, magari, entrambi?
Sarebbe importante per chi soffre di questa terrificante patologia avere notizie del genere e non, invece, assistere, inermi, ai suicidi che si moltiplicano copiosamente sotto i nostri occhi.
Suicidi, che magari si potrebbero evitare. Vite spezzate solo per ignoranza o per vergogna nell’accettare il problema.
Siamo alle solite: un problema che sta assumendo dimensioni incontrollabili, messo troppo spesso in secondo piano, taciuto perché, forse, tra le regole del giornalismo, le famose S da sbattere in prima pagina, esso non è contemplato.
La gente continua a morire di sofferenze atroci, arrivando addirittura a farsi praticare l’eutanasia e del dolore di queste persone si parla sempre troppo poco. Oggi un ulteriore riprova. Notizie date con superficialità ed evidentemente trattate da chi di depressione sa poco o nulla.
La depressione, di qualunque natura essa sia, è una malattia. Come tutte le malattie si cura. Io, fino ad ora, non senza sacrifici e sofferenze bestiali, ce l’ho fatta.
Vorrei potessero riuscirci molti, se non tutti. Vorrei – e credo che prima o poi accadrà – che questo brutto male diventasse totalmente curabile. Sarebbe il sogno di molti.
Sarebbe una svolta fondamentale non solo per la medicina mondiale, ma in assoluto per la società tutta.
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