Mafia, per contrastarla, da Stato e politica, il nulla
5 aprile 2018Mafia. Si è svolto ieri, mercoledì 4 aprile, un convegno sul tema della Mafia e di quanto lo Stato faccia per combatterla. Organizzato dall’associazione Themis & Metis e da Aiga Roma, con il patrocinio dell’amministrazione capitolina, l’evento, in Campidoglio, è stato fortemente partecipato, tanto che la sala concessa dal Comune è risultata inadeguata ad accogliere gli ospiti
Mafia. Dal pm Nino Di Matteo, al giornalista scrittore Marco Travaglio, al sindaco di Roma, Virginia Raggi, passando per gli interventi di nomi meno altisonanti, ma non poco degni di considerazione, quali quello dell’avvocato Sabrina D’Elpidio, vicepresidente di Themis & Metis e della presedente della stessa, Francesca Scoleri; le presenze al convegno sul tema Mafie e Stato sono state, insomma, di grande spessore.
Carismatica, quanto giovane ed emaciata, Virginia Raggi, sindaco di Roma: uno scricciolo, una garanzia. Convincente, per quanto leggermente didattico, il suo breve discorso. La Raggi è partita citando le commoventi parole di Rosaria Schifani, vedova di uno dei membri della scorta di Giovanni Falcone, saltato per aria, insieme con il giudice stesso, con alcune certezze degli italiani e con gli altri poliziotti cui era stata affidata la sicurezza del magistrato, quel maledetto 23 maggio del 1992.
Sono parole d’effetto, quelle della vedova Schifani, che, ritengo, tutti conosciamo. E bene ha fatto la Raggi a ricordarle, non potendo, però, fare nomi; quando, ad esempio, sempre ricordando le parole di Rosaria Schifani, diceva “la mafia è entrata con prepotenza in ogni cellula dello Stato. Ed è anche qui, in questa chiesa” (dove venivano celebrati i funerali per le 5 vittime della strage di Capaci, ndr). Ma forse non si sarebbe potuto chiedere di più, a Virginia Raggi, che, pur con metodi ed attività differenti dal consueto ordine capitolino, rappresenta, attualmente, una parte delle istituzioni.
L’intervento più brillante del dibattito, chiediamo venia agli altri partecipanti, è stato quello di Marco travaglio, che, tra il serio ed il faceto, ha sputato di brutto contro la corruzione, che nella nostra bella Italia dilaga come un fiume in piena, fomentata dai politici di turno. Esilaranti, per quanto puntigliosamente circostanziati, gli esempi che il giornalista forse più indipendente del Paese, ha elencato quali leggi scritte ad ok per salvare tizio o caio fra i politici. Non ha avuto paura, Travaglio, com’è sua abitudine, di citare più volte Renzi, scatenando risate spontanee ed applausi non da poco fra il pubblico.
E veniamo a Di Matteo. Antonino Di Matteo, magistrato della Direzione Nazionale Antimafia. Umile, come sempre, di un’umiltà che deve far riflettere chi, solo per essere apparso una volta in tv o su un giornale, cammina a due metri dalla terra ferma. Preciso, nell’esporre i fatti che lo hanno portato dove è ora e nel fare nomi e cognomi, anche lui, anzi, forse primo fra tutti, a non aver timore nel farli: da Andreotti, a Berlusconi e chi più ne ha, più ne metta. Avvincente, nelle sue argomentazioni, pure estremamente tecniche, rese chiare dal carisma di chi della lotta per la legalità ha fatto il proprio scopo di vita. Gli applausi non si fermavano più e non si fermano certo qui. Continuiamo, in questa sede, ad osannare un uomo che è un eroe della giustizia, un uomo di legge che, in nome e pur di perseguire la verità, ha rischiato la vita varie volte e, purtroppo, continua a farlo.
Perché è di questo che l’Italia ha bisogno. Certo non di una presidente della Commissione parlamentare Antimafia che declina l’invito ad un evento come quello di ieri. Non ce ne voglia Rosy Bindi.
“Ci sono uomini che lottano un giorno e sono bravi, altri che lottano un anno e sono più bravi, ci sono quelli che lottano più anni e sono ancora più bravi, però ci sono quelli che lottano tutta la vita: essi sono gli indispensabili”: così Virginia Raggi, citando Brecht, ha concluso il suo intervento, probabilmente riferendosi proprio a figure come Nino Di Matteo.
C’è, però un’altra frase dello stesso genio del teatro e della letteratura, con la quale, forse, l’evento di ieri, avrebbe potuto concludersi: “Chi non conosce la verità è uno sciocco, ma chi, conoscendola, la chiama bugia, è un delinquente” (gente che in Italia pullula, ndr). È sempre Brecht a dirlo. Citando, però, Galileo.